by Cloud
La stagione primaverile del 2015 ha avuto diversi anime simpatici,
e questo non è né il primo né l’ultimo di cui parleremo su questo blog (Link ha
già recensito Fate/Stay Night: Unlimited Blade Works, e ha già in cantiere un
articolo su un altro anime che è proseguito fino ad ora).
Devo ammettere che, quando mi sono trovato davanti questo “Danmachi”
(abbreviazione del lunghissimo titolo giapponese, “Danjon ni deai o motomeru no wa machigatteiru darō ka” che si
traduce come ho scritto nel titolo dell’articolo, viva la sintesi), ho pensato
di trovarmi davanti all’ennesima schifezza. Del resto, nel genere fantasy
abbiamo avuto negli ultimi anni un enorme quantità di perle di bruttezza e
banalità, di cui robe come Sword Art Online (qui ne sparla Link) e Zero no Tsukaima (qui ne sparlo io) sono solo la punta dell’iceberg. Ed è così che, dopo un paio di
episodi, e avendo poco tempo libero in quel periodo, lo lasciai stare. Questo
fino a qualche settimana fa, che avendo bisogno di intrattenimento semplice e
fruibile a mente spenta, mi sono detto: “e finiamo Danmachi, che almeno vedo se
fa poi così cagare, tanto sono solo 13 episodi”.
Man mano che vedevo l’anime, però, mi accorgevo che
nonostante fosse pieno di banalità, di elementi fatti soltanto per compiacere l’otaku
medio, e anche di incoerenze piuttosto grosse (un ragazzino abituato a
combattere con un coltello che maneggia, su due piedi, una enorme mannaia con
una maestria degna di Cloud o Gatsu…), era piacevole guardarlo!
Partendo col parlare della storia e dell’ambientazione, non
ci troviamo davanti a nulla di originale. Se dovessi descrivere questo anime in
poche parole, direi che è “Sword Art Online fatto meglio”. Danmachi riprende
infatti da SAO gli elementi da MMORPG, che non sono qui però dovuti al trovarsi
dentro una realtà virtuale, ma alla presenza di divinità, ciascuna con una sua “famiglia”
(in parole povere, i clan/le gilde dei giochi online) a cui conferisce abilità
simili a quelle dei giochi di ruolo, oltre alla possibilità di salire di
livello.
Una cosa che ho trovato molto simpatica, del loro mondo, è
il modo in cui si sale di livello: non basta fare fuori tonnellate di nemici;
quello innalzerà solo un po’ le statistiche (il level-up è considerato come
qualcosa di ben più significativo, in quanto ad aumento di forza). L’importante
è compiere un’impresa “eroica”, come sconfiggere un nemico più potente di te,
ed è per questo che per salire di livello ci vogliono spesso anni. Per il
resto, il sistema di crescita dei personaggi non è granché approfondito, ma in
fin dei conti meglio lasciare qualcosa nell’ombra che non ricorrere a prolissi
ed innecessari spiegoni, specialmente contando che l’obiettivo dell’anime è di
intrattenere a cuor leggero. Gli avventurieri, ossia coloro che ricevono i poteri
dalle dee, si avventurano in un enorme dungeon, strutturato su più piani, con
lo scopo di trovare tesori, diventare più forti, andare più a fondo possibile, o
semplicemente vivere un‘emozionante avventura.
Un altro elemento in comune con Sword Art Online, nonché
forse la cosa che più mi ha infastidito durante la visione, è l’elemento harem,
con annessa un’enorme quantità di fanservice. Fin dall’inizio, così come
abbiamo già visto in innumerevoli altri cartoni e fumetti giapponesi, il
protagonista fino a quel momento sfigatello (ma qui come minimo “carino” nel
suo design) inizierà ad essere circondato di tantissime ragazze, delle razze ed
età più disparate. Il fanservice riguarderà in maniera particolare Hestia,
divinità a comando della famiglia di Bell, il protagonista (che è anche l’unico
membro). Questa “loli con le oppai”, come è stata soprannominata dagli weaboos
e dall’anime stesso, è follemente innamorata di Bell, e si troverà spesso in
posizioni ambigue e studiate in modo da mettere in mostra le sue “doti naturali”.
Motivo per cui è subito diventata un personaggio estremamente popolare tra gli
otaku, più popolare dell’anime stesso forse, e già impazzano in Giappone (e all’estero
tramite importazione) i gadget a lei dedicati. Bah.
Un altro personaggio femminile da menzionare è Aiz
Wallenstein, una delle guerriere più abili del loro mondo nonostante la sua
giovane età, che salverà Bell da morte certa nel primo episodio. Da lì, il
nostro eroe inizierà a provare una profonda ammirazione per lei, e si allenerà
duramente allo scopo di raggiungerla ed essere degno di lei: attorno a questo,
e alle disavventure in cui occorrerà nel tentativo di diventare un prode
avventuriero. Se devo essere sincero, per un anime dalla semplice intenzione di
intrattenere come questo trovo che sia uno spunto eccellente, e pienamente
shonen.
Così come è pienamente shonen il protagonista, Bell:
partiamo innanzitutto dalla sua caratterizzazione visiva. Devo ammettere che
rispetto ad altri protagonisti di manga o anime simili il suo aspetto non mi
dispiace: sarà che i capelli bianchi mi piacciono, ma trovo che in generale
siano riusciti bene a creare un protagonista dall’aspetto “carino” (e che
quindi come minimo ha un motivo per suscitare l’interesse di tutte le ragazze
che incontra), puro e inesperto, ma determinato a diventare più forte.
Ovviamente, è sempre deciso ad aiutare tutti, si fida fin troppo della gente, e
questo lo porta spesso a cacciarsi nei guai.

Ma voi direte: in un anime che scimmiotta i videogiochi, ci
saranno le botte? Sì, ci sono, e a differenza che in SAO le scene sono
abbastanza numerose e piacevoli da guardare, con animazioni buone e una regia
niente male. Per essere chiari, le animazioni sono di buona qualità un po’ in
tutta la serie, e anche il character design, pur non essendo nulla di speciale,
risulta gradevole. Riguardo i combattimenti, comunque, non aspettatevi grandi
strategie o chissà che coerenza logica: capita molto spesso che i personaggi si
risollevino e continuino a combattere più impetuosamente di prima dopo essere
quasi morti (avete presente i “noi siamo una Gilda” di Fairy Tail? Robe così). Inoltre,
come avevo accennato all’inizio, mi piaceva molto la scelta di far combattere
Bell con un pugnale, arma generalmente riservata ai personaggi secondari, ma
sono rimasto abbastanza sconcertato quando, in una scena, prende una lama
enorme e la mulina con una velocità che non poteva avere, essendo abituato a
combattere con armi leggere. Ma anche quella scena, per dire, se la si guarda
senza starci a pensare, è visivamente bella e acchiappa.

Senza dilungarmi troppo, visto che ormai avrete capito di
che roba stiamo parlando, DanMachi non è un anime che probabilmente ricorderete
granché tra qualche anno, se lo vedete ora. Non è quell’opera che vi rimarrà
impressa o che segnerà la vostra carriera di sfigati che passano il tempo a
guardare i cartoni animati. È però un anime semplice ma allo stesso tempo ben
curato e coinvolgente, che fa bene quel poco che si ripromette, e se volete
semplicemente spegnere il cervello e divertirvi vi farà passare delle ore piacevoli.
Del resto, da un anime che si chiama “È sbagliato cercare di incontrare ragazze
in un dungeon?”, cosa vi aspettavate? Abbiamo una serie che, come da titolo, ci
dà avventure nei dungeon, e tante ragazze, e se è piaciuto persino a me che in
genere mal tollero il fanservice, vuol dire che il suo compito lo svolge
egregiamente nell’intrattenere. E nonostante le riserve iniziali, dico
chiaramente che guarderei volentieri un’eventuale seconda stagione (l’anime è
tratto da una light novel ancora in corso, perché ricordate, oltre ad avere un
titolone impronunciabile, l’ultima moda nell’animazione giapponese è trarre gli
anime dalle light novel).

Quindi, se dopo la mia recensione avete voglia di dargli
anche voi una chance, lo trovate gratis e legalmente sul canale YouTube della Yamato Video, che ha fatto un ottimo lavoro nel sottotitolarlo in italiano. Con
questo vi saluto, e vi auguro di vivere una bella avventura!
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